Abruzzo Calcio Dilettanti sfoglia un’altra pagina dell’album dei ricordi del calcio abruzzese e torna alla stagione 1997-1998. L’Eccellenza di quella stagione vide una di tante vittorie del Lanciano di Ezio Angelucci, uno dei Presidenti più amati a livello regionale e non solo. In pochi anni, dopo essere ripartiti dalla Promozione, i frentani tornarono in quella C1 da cui si erano allontanati per quasi mezzo secolo (1946-1947 l’ultima volta nella C unica prima di diverse apparizioni in C2) e lo fecero arrivando anche a giocarsi i playoff per la B.
In quel Lanciano, allenato prima da Armenise e poi da Giuseppe Di Pasquale, c’erano nomi di peso e che non hanno bisogno di presentazioni: Luca Leone, Fortunato Collevecchio, Marco Cicchitti, Fabio Montani, Gianluca Rosato, un giovanissimo Giuseppe Di Gioia e non solo. Una squadra capace, in 34 giornate, di vincere 21 gare, pareggiarne 10 e perderne solo 3. Record per i pochi gol subiti, 13, con 52 segnati. 73 i punti al termine del campionato, due in più della Renato Curi Angolana, con successivo successo della Coppa Italia Dilettanti, brillando anche nella fase nazionale.
A raccontare quell’annata, ai nostri microfoni, Fortunato Collevecchio, calciatore che arrivava in terra frentana dopo tanti anni nel calcio dei grandi.
Professionismo tra i dilettanti
«Se penso a Lanciano, mi vengono in mente grandi emozioni. Ho conosciuto persone speciali, avevo lasciato il mondo professionistico da un paio di anni e in quella città ho avuto la sensazione di rifare ancora il professionista, lo diceva l’ambiente, lo dicevano i dirigenti, lo diceva la tifoseria e lo dicevano i giocatori presenti. Ho avuto la fortuna di incontrare un Presidente come pochi nella storia del calcio abruzzese. Quella fu una stagione particolare, abbiamo attraversato delle difficoltà in un determinato periodo, però poi ci abbiamo messo del nostro e abbiamo fatto la differenza».
Un Presidente nel cuore di tutti
«Ezio Angelucci era un grandissimo intenditore di calcio e si faceva sempre sentire sia nelle vittorie che nelle sconfitte. Appena lo conobbi, subito ci fu quella sensazione di avere a che fare con una persona seria, professionale e professionista, anche se in un campionato dilettantistico. Ci vuole sempre fortuna per vincere, ma lui creò una macchina con 8 marce in più degli altri. Quando fu esonerato Armenise, non avemmo un mese felice e mi ricordo una cosa di lui. Arrivò una sconfitta e ci ritrovammo nello spogliatoio in settimana per la ripresa degli allenamenti, i più giovani erano preoccupati perché pensavano che non sarebbe arrivato il rimborso spese mensile come punizione. Angelucci entrò e il capitano gli fece notare questa cosa, così lui rispose: “Adesso mi fate arrabbiare, qui si è in una determinata società e i rimborsi vengono sempre pagati, che si vinca, o che si perda”. Lì capii che quella era una realtà destinata ad arrivare lontano, con una guida forte e appassionata, con un lavoro professionale di tutti. Quando il Presidente Angelucci scomparse, è stato un colpo al cuore, ma di lui resta tutto».
Il trascorrere del tempo
«Ho un pregio che molti ritengono un difetto. Quando ho smesso di giocare, non ho poi avuto rapporti diretti col calcio praticato, se non nelle occasioni in cui vado a vedere mio figlio in campo. Avverto il cambiamento del tipo di gioco e dei calciatori. Noi avevamo fame, ma fame vera, avevamo una quotidianità fatta solo di quel pallone, senza distrazioni. Oggi manca quella voglia di giocare, automaticamente il livello è sceso. I miei amici che sono ancora dentro questo mondo mi raccontano di una continua richiesta di denaro dei calciatori quando li si contattano. A me interessava la parte tecnica, quella economica era un’altra storia».
Tappe
«Fu decisivo lo scontro diretto con la Renato Curi Angolana. Loro erano sotto in classifica di uno o due punti e il big match si giocava a Lanciano. Stadio pienissimo, emozioni incredibili, tifo assordante e noi la vincemmo. Ricordo bene quell’1-0, segnò Luca Leone su punizione e la strada fu segnata. Quella era la Renato Curi dei giovanissimi campioni, dell’ancora poco noto Fabio Grosso e compagnia, erano fortissimi. Ma anche le altre squadre erano toste, soprattutto quelle della parte destra della classifica. Quando andavi a Cappelle non contava il tuo nome, se la giocavano fino alla fine. Poi ricordo bene il Montorio, ben costruito, l’Alba Adriatica e così via. Vincere non era affatto semplice».
Il cambio di allenatore
«Partimmo con 7 vittorie immediate, senza problemi, puntando sulle nostre potenzialità e mettendole in mostra. Armenise era un martello, chiedeva sempre il massimo, senza sosta. Forse fu quello a frenarci in quelle poche gare senza vittorie, non eravamo più noi in un certo senso, anche se continuavamo a non perdere, non dimentichiamolo. Poi arrivò Di Pasquale, molto abile nella preparazione fisica, ci caricò e noi poi vincemmo».
Sorprese interne
«Se devo fare un nome, dico Luca Leone. Lui veniva da un brutto infortunio e doveva riprendersi e fu bravissimo il DS Di Battista. Poi la storia è nota, lui crebbe pian piano e sfondò, diventando un punto di riferimento a Lanciano. Non aveva più voglia di giocare e questa piazza lo trasformò. Per me, invece, fu una stagione esaltante. Ho subito anche io quel mesetto di difficoltà, ma quando ci rimettemmo in carreggiata non ce n’era per nessuno. Mi sentivo sicuro, mi sentivo di nuovo me stesso e mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo. Poi accadde, verso fine anno, che fui chiamato dal Celano di mister Impullitti, che ripuntava a vincere il campionato. Ci accordammo verbalmente, ma poi non mi sono potuto tornare indietro dalla chiamata del Notaresco, mia città, ma non nascondo che il mio cuore voleva restare al Lanciano in D. In ogni reparto eravamo completi, poi avevamo una coppia centrale di difesa che non necessita di presentazioni col capitano Cicchitti e Odoardi. Avevamo, come fuoriquota, Di Gioia, reduce dalla primavera del Foggia, ciò dice tutto. Ricordo il valore di tutti, dei vari Morgione, Rosato, Aureli e così via».
Una spinta aggiuntiva
«Quando arrivai, la curva era chiusa al pubblico. Alla quarta giornata, le tante richieste arrivate alla società portarono alla sua riapertura, giocavamo sempre con un uomo in più. Ricordo quella gara con il Cologna, in trasferta. Tantissimi arrivarono con i pullman da Lanciano in un impianto piccolo, c’era un entusiasmo inarrivabile. Il tifo frentano non lo batteva nessuno, arrivammo lontano grazie a loro».
Nicolas Maranca