Abruzzo Calcio Dilettanti fa un tuffo nel passato di quasi 20 anni e si sposta a Nereto. Amarcord torna all’annata 1992/1993, in un campionato di Eccellenza che annoverava ai nastri di partenza squadre di spessore quali Pianella, Rosetana, Hatria, Mosciano e non solo. Protagonisti furono i rossoblù di mister Antonio Impullitti, neretese doc chiamato a sfatare il “Nemo propheta in patria”. Una squadra costruita con giocatori blasonati e molto validi, tra cui Franco Nardini, Massimo Angelini, Amedeo Ciarrocchi, Norman Rasicci, Fabrizio Vagnoni, Massimiliano Reginelli, Fabrizio Breglia e non solo.
I ragazzi di un appassionatissimo Presidente Bruno Baldini chiusero con 51 punti, uno in più del Mosciano, in quello che fu uno degli ultimi campionati dell’era dei 2 punti. Trascinati dai 16 gol di Breglia e da una rimonta epocale, con una striscia di 13 successi consecutivi e 16 risultati utili di seguito, i vibratiani hanno segnato un’intera generazione, spinti da un tifo di categoria superiore.
A raccontare quella annata, ai microfoni di ACD, Emilio De Cicco, difensore tra i punti fermi di quell’organico e, da allora, abruzzese di adozione.
Nereto, casa
«Una realtà così piccola che arrivava tanto in alto, un sogno per chiunque. La cosa incredibile è che in una piazza simile, riuscimmo a portare allo stadio 2.000 persone. Arrivai da alcune annate importanti, non avevo mai conosciuto club così poco in vista. Ad un certo punto della stagione sembrava proprio l’annata storta per ciò che raccogliemmo in campo, tanto che temevo la cessione, visto che comunque la società investì molto per tenermi lì tra vitto e alloggio come consuetudine di quel tempo. Un girone di ritorno strepitoso cambiò le cose. Mi sono legato talmente tanto a Nereto che ora, seppur vivo a Corropoli, ci torno spesso e volentieri. Qualche anno fa fui anche invitato alla presentazione della squadra e ogni volta tutti mi fermano per ricordare quella storica vittoria. La gente ti vuole bene, ti rispetta ed è questo il bello di questo posto».
Calcio diverso
«Con i 3 punti è sempre caccia alla vittoria, ma prima anche il pareggio era una quasi vittoria, i distacchi erano minimi e le classifiche erano sempre equilibrate. Noi cercavamo comunque sempre e comunque il successo, però non si creava quella differenza che invece possono dire le graduatorie attuali. Parliamo di un calcio diverso non solo in questo, ma anche per il fatto di una maggior tecnica, oggi invece è fisicità. Noi avevamo gente che a livello tecnico eccellevano, da Breglia a Vagnoni e così via. Pian piano, questo sport ha perso quella componente».
Qualità
«Noi eravamo consci delle nostre potenzialità. Io venivo da molte annate di D e dalla precedente stagione vincente a Termoli, poi c’erano Nardini che aveva fatto la C, Vagnoni, Gabrieli che fu una scoperta perché esplose quell’anno, Rasicci, Troiani, Castelli e quel Breglia che lì davanti faceva la differenza già da solo. Lui a mio avviso avrebbe potuto sfondare davvero, giocava con una semplicità incredibile, lo faceva per divertirsi e faceva divertire. Era talmente spontaneo, che anche le cose più difficili le rendeva semplici. Attirò anche l’attenzione di Ciccio Graziani, che lo richiese nella sua squadra. Ma anche le avversarie avevano elementi di spessore, mai quanto noi a mio avviso. Certo, nel calcio non c’è nulla di scontato, ma noi prendemmo consapevolezza e ci rivelammo inarrestabili. Addirittura quando facemmo delle amichevoli col Pescara ci facemmo notare e non ci tirammo mai indietro».
L’ascesa
«La chiave di svolta di quella stagione fu il mister. Perché quando eravamo tutti in bilico, visto che comunque la società aveva investito e i risultati erano deludenti, Impullitti ci difese, credette in noi. Anche perché, a livello personale, c’era un certo rapporto già dall’avventura precedente a Termoli. Essendo di Nereto, ci credeva ancor di più, aveva le sue idee e non si tirava mai indietro, spinto anche dal fatto di voler vincere a casa sua. C’era pressione, poi, perché in una realtà tanto piccola si investiva parecchio per la prima volta. Lui sapeva di cosa eravamo capaci, ebbe ragione. Dopo la quinta, sesta vittoria di seguito, non ci fermammo davvero più. Ricordo il derby vinto 5-1 col Sant’Omero, al di là del risultato dimostrammo proprio di essere di categoria superiore per come eravamo messi in campo. Il Mosciano iniziò a rallentare, e noi non ce lo facemmo ripetere».
Lo scontro diretto con il Mosciano
«Noi, prima della sfida in casa nostra, fummo bravi e fortunati a trovarci nella condizione di essere consapevoli di cosa potevamo fare. Non eravamo partiti benissimo, fu una prima parte di campionato decisamente sottotono, ci ritrovammo addirittura a metà classifica e c’era aria di cambiamento. Invece, dopo aver preso un certo gap proprio dal Mosciano, quel Nereto si fece valere e iniziò a fare risultato di domenica in domenica, senza mai fermarsi. Quando arrivammo al derby a -1, c’era in noi la consapevolezza di poter vincere. C’era concentrazione, ovviamente, e il Mosciano capì a sua volta che avevamo fatto ormai il salto di qualità e che era arrivato il nostro momento. Poi quel gol di Breglia in acrobazia è rimasta l’immagine della stagione, farlo in un match così non è da tutti».
L’epilogo
«Affrontavamo il Lauretum che era un avversario rispettabilissimo, con il compianto Piero Di Pietro con cui ho anche avuto l’onore di giocare a Pineto. Prima del match c’era un po’ di tensione, sapevamo di non poter sbagliare perché sarebbe stato un peccato. La settimana precedente fu ricca di entusiasmo e quella partita fu quasi più emozionante di quella col Mosciano. Andammo addirittura avanti di 3 gol dopo mezz’ora, poi ci adagiammo e loro iniziarono a rimontare segnando due gol in 10 minuti nella ripresa. Il Presidente, che era dietro la porta, era nervoso e timoroso, si notava. Noi ci guardammo negli occhi e capimmo che dovevamo prenderci la vittoria. Poi la festa fu da pelle d’oca».
L’aneddoto
«Il Presidente era un tipo passionale, era innamorato di Nereto e del Nereto. Ad un certo punto, in una gara, entrò nello spogliatoio e ci disse: “Ditemi cosa devo darvi o cosa devo fare di più per vincere”. Era proprio legato, non faceva il Presidente come imprenditore, ma come vero tifoso. Ce lo dimostrava quotidianamente, in ogni modo».
Nicolas Maranca