Ci sono squadre che restano nella storia e senza più andar via dal pensiero di tutti. Amarcord apre la pagina di ricordi di una Pro Vasto leggendaria, capace di abbattere ogni record nelle stagioni 1997/1998 e 1998/1999.
Dalla Promozione alla Serie D, con una sola sconfitta in due anni, 165 punti all’attivo (78 in Promozione e 87 in Eccellenza), 173 gol segnati e 39 subiti. Una realtà che in quei due anni vide talenti di non poco conto, da Ciro Monaco a Iezzi, da Davide Ruscitti a Silvino Ottaviano, passando per Muratore, Bottari, Fabio Nepa e non solo.
A raccontare quella scalata biancorossa, l’allora allenatore Donato Anzivino, che tornò nella sua Vasto nel ’97 dopo esservi stato già da calciatore divenendone un simbolo.
Il calcio a Vasto e in Abruzzo
«Aver avuto l’opportunità di allenare a Vasto dopo averci giocato nel corso della mia carriera è stato davvero emozionante. La fine degli anni ’90 fu fatta di anni belli, quelli delle due promozioni, poi peccato per quella Serie D che andò in quel modo, ma nessuno potrà mai togliermi il sorriso ripensando a cosa abbiamo fatto. Fare paragoni è difficile, ma quel calcio era davvero unico. Eravamo una squadra giovane in campionati molto competitivi, nessuna avversaria era abbordabile, era sempre da giocarsi le gare 90’. Ricordo che al secondo anno, a fine stagione, facemmo una amichevole col Pescara e giocammo davvero bene, dimostrando il nostro valore. Vasto mi ha dato molto caratterialmente e mentalmente. Sapevo che non era facile ottenere certi risultati, ma allenare in piazze calde mi è sempre piaciuto, perché ci si trovano stimoli enormi per andare avanti».
L’inizio
«Venivo da una Eccellenza a Lanciano per la prima volta in questa categoria e poi da due anni ad Atessa. Tornare in Promozione non fu un passo indietro, perché quando ti ritrovi ad allenare la Vastese sali di livello, a prescindere dalla categoria. Accettai senza esitare, perché sentivo lo stimolo di poter allenare questa piazza. Il primo anno fu caratterizzato dalla lotta con l’Angolana e riuscimmo a spuntarla vincendo sia gli scontri diretti che altre gare importanti e chiudemmo da imbattuti. Quando vinci di continuo, si crea una atmosfera particolare, colma di entusiasmo. Non mi sarei mai aspettato, quando firmai per la prima volta, che avremmo avuto quei numeri altissimi».
L’Eccellenza
«All’inizio ricordo che in ritiro qualcuno non si sentiva sicuro e chiedeva qualche acquisto per rinforzare la rosa. Me ne accorsi da come andavano gli allenamenti, stavamo abbassando il ritmo. Allora subito presi la palla al balzo e dissi che non si parte sempre da favoriti, ma bisogna lavorare per arrivare al risultato. Alla fine vincemmo quel campionato come tutti ricordano»
Punti di forza
«Nepa, Ruscitti, De Fabritiis erano elementi di sicura affidabilità. Mi colpì Ruscitti, che esplose quando ci ritrovammo in Eccellenza. Lui giocò 25 partite, poi si fermò per un infortunio, ma da centrocampista arrivò a segnare 12 gol, non proprio numeri da quel reparto a 24 anni. Sapevo che con quelle qualità avrebbe potuto fare categorie ben più alte e infatti poi andò al Pescara. Ricordo Paolo Iezzi, che al giro di boa di Eccellenza aveva già 15 gol all’attivo anche se poi si fece male col Celano. Avevamo Sabatino, un giocatore eclettico nei dribbling, velocissimo nelle fasi di gioco. Un ragazzo che, secondo me, avrebbe potuto fare di più, sarebbe potuto diventare davvero un calciatore. L’anno della Promozione non potrò mai dimenticare Ciro Monaco in attacco, di enormi potenzialità. Senza dimenticare D’Ambrosio, Sorrentino e tutti gli altri. Ragazzi che ricordo con affetto e che sento ancora spesso».
L’ambiente
«C’era una certa compattezza. L’allenatore non voleva molta invadenza rispetto ad oggi sulle sue scelte, voleva restare sempre sulle sue idee. Sapevo dell’entusiasmo e della passione che c’era. Ricordo che quando vincemmo l’Eccellenza il mio collaboratore mi ripeteva di quanto ci volessero bene quelli che ci vedevano dall’esterno, io gli dissi che non doveva farsi ingannare, sapevo che chi ci applaudiva poteva anche essere il primo a criticare quando sarebbero andate male le cose. Dopo l’esonero in D, ero libero e ricevetti una nuova chiamata della società dopo qualche mese, risposi che non sarei potuto tornare, non ero nelle condizioni di riprendere per la necessità di una pausa. Poi ci fu la chiamata della Nocerina in C».
Massima attenzione
«Una squadra giovane può incappare facilmente in qualche difficoltà. Può distrarsi, può abbattersi quando ci sono risultati negativi e così via. Attraversammo un momento difficile in Eccellenza, alla fine del girone di andata. A Morro D’Oro, negli spogliatoi, nonostante lo svantaggio, restai calmo e cercai di far stare tranquilli i ragazzi, trasmettendo tutta la carica che avevo. Poi facemmo quasi tutte vittorie. C’era una compattezza incredibile, si faceva tutto insieme, in campo e fuori, nessuno lasciava indietro i compagni».
La possibilità di avere un futuro Campione del Mondo in squadra
«Quelle su Fabio Grosso non erano solo voci. Nel 1997/1998 andammo vicini a prenderlo, io ero spesso al telefono con lui per portarlo lì. Però avevamo già inserito Ruscitti e Nepa in squadra e volevamo contenere le spese. Lui giocava trequartista allora, era anche difficile mettere tutti insieme. Lo conoscevo ben oltre quella parentesi, calcisticamente e non, e si vedevano le sue doti. Poi si spostò al ruolo di terzino e cambiò tutto, la sua è una delle tante belle storie che ha saputo regalare questo sport, Fabio è un esempio».
Guardare avanti
«Noi in Italia dobbiamo vivere questo sport con meno pressioni. Faccio sempre questo paragone: in Spagna, quando un ragazzino rientra a casa dopo la gara si sente chiedere se si è divertito, in Italia gli si chiede il risultato. Cerchiamo di dare più libertà ai nostri giovani, per farli esplodere quando escono dalle scuole calcio. La Vastese oggi sta facendo bene, nonostante le difficoltà del periodo. Sono attualmente ad una Scuola Calcio per scelta personale e mi sto divertendo molto. Il mio pensiero è che il club oggi potrebbe andare avanti considerando quasi totalmente solo i talenti cresciuti nel suo vivaio, lo dico perché ci sono profili davvero interessanti, che secondo me potranno arrivare ben oltre la Serie D. C’è materiale per far bene».
Nicolas Maranca