Amarcord nasce con l’idea di raccontare il passato del calcio abruzzese rievocando non solo le grandi squadre, ma anche i più grandi personaggi rimasti nei cuori e nelle menti degli appassionati. Alessandro Cagnale è sicuramente un simbolo per L’Aquila, ma anche per l’intero movimento regionale. Nessuno, prima e dopo di lui, ha avuto la possibilità di vivere con la maglia rossoblù il doppio salto dalla Serie D alla C1.
Oltre 250 presenze da atleta tra C1 e C2, una carriera, quella del difensore, che ha toccato piazze storiche a livello nazionale, come Pisa e Benevento, oltre al Capoluogo abruzzese. Arrivato nel 1997, Cagnale fu subito protagonista nella vittoria del campionato di Serie D. 74 punti all’attivo, uno in più del Rieti: nessuno, nel passato aquilano, è mai riuscito ad eguagliare i numeri della squadra allenata da Sanderra. A fine anno, i rossoblù andarono anche vicini al sogno Scudetto, eliminati in semifinale dalla Sanremese.
In C2, con mister Aldo Ammazzalorso al timone, arrivarono un sesto ed un secondo posto. Alla seconda stagione, dopo lo 0-0 della finale playoff contro l’Acireale, ad Avellino, L’Aquila volò in C1, a coronare una progettualità curata e rimasta nella storia e raccontata, ad Abruzzo Calcio Dilettanti, da Alessandro Cagnale stesso.
Tutt’uno con i tifosi
«Nella mia esperienza aquilana, ho potuto essere a difesa di una piazza incredibilmente calda per il tifo, come poi lo sono state altre, ma L’Aquila è L’Aquila. In quegli anni, le tappe di Pineto e Avellino, con quasi 4000 persone al seguito, erano la cifra di cosa significasse il calcio a L’Aquila. Da non dimenticare, poi, che in C1 arrivammo a trascinarci dietro i quasi 8 mila presenti della sfida col Palermo. In quegli anni, non c’erano tutte queste misure di sicurezza odierne e il rapporto tra tifoso e squadra era più intenso, a tal punto che era difficile trovare differenze tra il calore fatto sentire in allenamento e quello portato in gara».
Il primo anno e la D
«Non ci volle molto per convincermi ad accettare questa piazza. Io ero giovane, dovevo maturare la giusta esperienza. Vivevo anche quella che era una sfida da emigrante, cioè lasciare la mia regione per cercare fortuna altrove, ma sapevo bene che avrei avuto una ghiotta opportunità in Abruzzo. L’Aquila, guardandola oggi, ha rappresentato il trampolino di lancio, ma è entrata nel mio cuore come uno stato d’animo, non come semplice tappa della carriera di un atleta. Tornarci è sempre piacevole, come è accaduto la scorsa estate, ma ho ancora amici lì, c’è un legame affettivo. Tornare da allenatore? Se dovesse accadere, non vedo l’ora, ma è difficile costruirsi un percorso da allenatore oggi. Comunque, appena arrivai trovai entusiasmo, passione e competenza, ben presto avrei anche trovato vittorie».
La volata con il Rieti
«L’Aquila non era e non poteva essere la favorita. Soprattutto per le rivali, partendo dalla Sambenedettese che già aveva alle spalle annate memorabili e prestigiose. Poi c’era il Rieti e loro ci diedero filo da torcere, davvero. Arrivammo punto a punto, dato che testimonia che duello fu, seppur imprevisto. Non potrò mai dimenticare quando perdemmo a San Benedetto, perché in contemporanea i reatini non riuscirono a vincere a Senigaglia e per noi divenne il ko più bello e dolce di sempre, mancavano pochi turni alla fine e lì fu messo un grosso mattone verso il titolo».
Le emozioni del 3 maggio 1998
«Le giornate di festa sono sempre belle da ricordare, soprattutto per il rievocare un’incredibile serie di emozioni. A Pineto noi non potevamo permetterci errori e si sa, quando sei vicino al traguardo hai sempre paura che possa sfuggirti. La gara si mise bene, noi fummo bravi a restare concentrati sulle nostre aspirazioni. Andammo in vantaggio, poi segnammo il 2-0 e a quel punto capimmo che ce la stavamo facendo, poi fu tutto un susseguirsi di esultanze, grida e festa. L’Aquila e gli aquilani se lo meritavano, vedere tutte quelle persone sugli spalti fu impressionante».
Il doppio salto, la C1
«Oggi mi rendo conto ancor di più di quello che è stato fatto. Le nuove tecnologie tengono vivo il ricordo della nostra cavalcata, trovo spesso foto di quegli anni, così come video e giornali. A maggior ragione, posso dire che L’Aquila è entrata dentro di me e non ne uscirà. Il primo anno di C2 fu di ambientamento, arrivò un nuovo mister (Ammazzalorso, ndr) e chiudemmo comunque bene, facendoci valere. Arrivammo in C1 essendo squadra, ma anche di più. Al tempo, vivevamo tutti insieme, praticamente passavamo 24 ore su 24 con i nostri compagni. Si era creata una amalgama unica, poi quando arrivammo a quel punto ci ritrovammo in rosa elementi di spessore. Il più forte? Fare nomi sarebbe sbagliato, perché tutti hanno dato il loro apporto, ma Lorenzo Battaglia dimostrava di non aver nulla a che vedere con la categoria, troppo bravo».
Apprendere dai maestri
«Ho avuto la fortuna di vivere a L’Aquila quelli che sono gli anni in cui un atleta si forma. Mister Sanderra mi ha dato molto dal punto di vista tecnico-tattico, mentre mister Aldo Ammazzalorso ci ha trasmesso cattiveria e carattere, altri elementi determinanti in un calciatore. Entrambi mi e ci hanno trasmesso il meglio, i nostri risultati sono stati tali grazie a chi era al timone».
Differenze tra ieri e oggi
«Dico sempre che quello a noi contemporaneo è il calcio dell’apparire. Oggi conta chi è messo meglio fisicamente, a noi in passato interessava avere le doti tecniche e tattiche, basta vedere i filmati degli spogliatoi. Poi va detto che tutte queste statistiche e tutti questi dati fanno sembrare il calcio simile al basket e ad altri sport, ma non si dimentichi che in questa disciplina conta veramente crederci fino in fondo, si può anche vincere al 90′ pur avendo fatto meno passaggi e meno possesso degli avversari. Ci sono stati fattori anche positivi nel progresso, e sono tanti, ripenso alle maglie indossate qualche decennio fa, erano gigantesche, mentre oggi si può essere dotati di un abbigliamento praticamente su misura anche la domenica, c’è molto più elasticità».
[Foto di copertina di Dimitri Houtteman da Unsplash]
Nicolas Maranca