Ci sono ferite che non si cancellano. Quella che L’Aquila si porterà dietro a vita, è grande, grandissima. In 23 secondi, la notte del 6 aprile 2009 alle 3:32, la vita di una intera popolazione e di un territorio è cambiata totalmente. 309 vittime tra il Capoluogo e le frazioni limitrofe, danni inimmaginabili ad oltre 10 mila edifici, piccoli paesi del tutto smembrati, centro storico chiuso al transito, attività ferme per anni, la ristrutturazione che non è ancora completa.
Passando sull’A24 tra i due principali caselli cittadini, si notano ancor oggi i segni di quel giorno nefasto. Ma il 6 aprile ha lasciato un messaggio chiaro, forte, incancellabile: quello di un Abruzzo che sa soffrire per poi risalire con le proprie forze, con solidarietà e sacrificio. Tanti gli aquilani che dalle ore immediatamente successive si trasferirono nel resto del territorio regionale, accolti a braccia aperte da tutti gli abruzzesi. Qualcuno, ad oggi, non ha ancora fatto ritorno nella città natale, con la speranza di poterlo fare presto. Un giorno che ha cambiato anche la vita sportiva della nostra Regione.
Sport al centro
Una frazione di secondo prima della fine, L’Aquila ha guardato dentro di sé, ha affrontato quel dramma e si è rialzata. Lo ha fatto anche grazie ai tanti messaggi mandati dal mondo dello sport. In particolare, spicca quello della squadra locale di Rugby, che ha usato le proprie forze scendendo in campo nel vero senso della parola e aiutando i soccorritori in tutte le sedi opportune, tra coloro che lo fecero c’era anche l’allora allenatore Mascioletti. La squadra lavorò duramente per mettere in sicurezza i pazienti dell’ospedale San Salvatore. Opera riconosciuta dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che insignì L’Aquila Rugby del premio al valor civile il 14 novembre 2011. Uno dei componenti di quel team non superò quella tragedia, Lorenzo Sebastiani, rimasto nel cuore non solo degli sportivi, ma di tutti gli abruzzesi.
In quei giorni, in Abruzzo si lavorava per permettere lo svolgimento del Torneo delle Regioni di calcio, una manifestazione che però mai si sarebbe tenuta. La LND decise di annullare il tutto dopo il sisma del 6 aprile, ma dovette anche adoperarsi per garantire vicinanza ai club calcistici dilettanti. Lo era L’Aquila, con la squadra rossoblù che come oggi partecipava al campionato di Eccellenza e, probabilmente, lo avrebbe anche vinto. Ma dopo quel giorno, L’Aquila Calcio non scese più in campo e fu deciso di promuovere il club in Serie D pur avendo ultimato al secondo posto il campionato. Lo stesso era accaduto al Grande Torino in occasione della strage di Superga, con l’assegnazione d’ufficio dello Scudetto.
Non si dimentica neppure la tragedia vissuta dalla piccola frazione di San Gregorio, che dopo qualche anno avrebbe trovato nel calcio un motivo di ripartenza. Qui arrivò, infatti, il campo in erba sintetica di ultima generazione, in una struttura intitolata a Davide e Matteo Cinque, due delle vittime locali di quel 6 aprile.
L’oggi è ricco di rimandi a quel giorno, a quella ferita. Gli occhi di chi entra, ad esempio, allo stadio “Gran Sasso – Acconcia” hanno davanti le immagini della più grande tendopoli costruita in città, proprio sul terreno che, dopo qualche anno, avrebbe visto la rinascita della squadra di calcio de L’Aquila, ripartita dalla Prima Categoria ed oggi con il sogno della Serie D.
Perché L’Aquila è caduta, ferita, ma si è rialzata. Perché L’Abruzzo lo ha fatto con unità e solidarietà. Senza mai dimenticare una notte orribile. Senza mai dimenticare di avere ancora tanti sogni da realizzare, nel nome di chi, dal 6 aprile 2009, ci vuole credere.
Nicolas Maranca